NOVENA
in onore di SAN GIUSEPPE (per la sua festa)
a
cura di P Ferdinando Pentrella OSJ Santuario Maria SS. dello Sterpeto - Barletta
10-18 marzo 2009
G.
O San Giuseppe, ci raccomandiamo a Te con fiducia: Tu che fosti tanto umile da
non voler essere tenuto in nessun conto, mantenendoti sempre ritirato nell'ombra
e attribuendo ogni merito a Maria,
T.
concedici la familiarità e l'unione intima con Gesù. Gloria
al Padre...
G.
Tu, o Giuseppe, che fosti tanto
umile ed avesti la fortuna
di vivere in compagnia di Gesù, osservando tutto quello che egli faceva,
T.
parlaci al cuore e
fa' che impariamo tutto dalla vita di
Gesù tanto santa e tanto da Te imitata. Gloria al Padre...
G.
O San Giuseppe, che fosti dal
Padre predestinato a custodire il Salvatore e la
Vergine Immacolata,
T.
ottienici da Dio le grazie che ci sono necessarie per
corrispondere fedelmente al disegno di amore, che
Dio ha avuto su ciascuno di noi nel crearci ed aiutaci
a seguire la nostra vocazione.
Aiuta
i giovani, che sono chiamati dal
Signore, a seguire la loro vocazione,
per procurare nuovi operai per la Chiesa e nuovi apostoli per il Regno di Dio.
Amen. Gloria
al Padre...
(testo
di S. Giuseppe Marello)
I
San
Giuseppe e la Chiesa
La
Chiesa dai tempi più antichi ha sempre riser-vato un culto speciale a San
Giuseppe, sulla base dei riferimenti evangelici e biblici, a cui si è aggiunta
la tradizione data dalla devozione vissuta. E il culto di San Giuseppe è andato
sempre più sviluppandosi, specie ad opera di fedeli, movimenti e Santi partico-larmente
devoti.
Proprio
su questo culto San Giuseppe Marello, Fondatore della nostra Congregazione degli
Oblati di San Giuseppe, prendendo spunto dall'etimologia ebraica del nome, che
significa "Dio aggiunge", scri-ve: "«Filius accrescens Joseph»
e i figli di S. Giuseppe devono crescere anch'essi, se non altro, nel culto del
loro Santo Patrono" (Lett. 210).
S'intende
un culto espresso con l'onore, la rifles-sione e l'imitazione.
Onorando
San Giuseppe e riflettendo su di Lui, per poter meglio imitarLo, pensiamo subito
allo stretto rapporto che questo Santo ha con la Chiesa, che siamo tutti noi
cristiani e che Lo riconosce suo Patrono: un rapporto comunitario e per questo
prima di tutto personale.
La
definizione di San Giuseppe "Patrono della Chiesa universale" si deve
al Beato Pio IX. Questo Papa fu un grande devoto della Madonna, specie dell'Immacolata. Infatti fu
lui a proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, con la Bolla
"Ineffabilis Deus" dell'8 Dicembre 1854. Ma fu anche un grande devoto
di San Giuseppe e manifestò la sua particolare devozione già dagli inizi del
suo Pontificato.
Egli
l'8 Dicembre 1870, giorno della Solennità dell'Immacolata Concezione, scelto
appositamente, col Decreto "Quemadmodum Deus" dell'allora Con-gregazione
dei Riti ha dichiarato solennemente San Giuseppe "Patrono della Chiesa
universale", perché, afferma il Papa, "la Chiesa ebbe sempre in
grandissi-mo onore e ricolmò di lodi il beatissimo Giuseppe e di preferenza a
lui ricorse nelle angustie". Infatti Pio IX intendeva affidare la Chiesa a
San Giuseppe in quelli che egli diceva "tristissimi tempi" a causa del
laicismo radicale, dell'anticlericalismo e della masso-neria. Il precedente 20
Settembre era avvenuta la presa di Roma da parte del Regno d'Italia con la fine
dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi.
La
proclamazione di San Giuseppe "Patrono della Chiesa Universale" era
attesa, perché il Papa aveva consultato tutti i Vescovi (era il tempo del
Concilio Vaticano I) e parlava a nome loro. Infatti già parecchi mesi prima, il
17 Marzo 1870, il nostro San Giuseppe Marello, che allora si trovava a Roma come
Segretario del Vescovo di Asti Mons. Carlo Savio, scriveva invi-tando a pregare
S. Giuseppe "affinché cominciando ad esaltarlo noi nel nostro cuore ci
rendiamo degni di vederlo esaltato prossimamente da tutta la Cristianità col
titolo che gli sta preparando di Patrono della Chie-sa universale" (Lett.
62). Da allora sono andati sempre più
crescendo la conoscenza, il culto e la devozione a S. Giuseppe da parte di tutta
la Chiesa, guidata dai Papi successivi, fino ad oggi.
In
particolare, il Beato Papa Giovanni XXIII il 19 Marzo 1961 ha dichiarato S.
Giuseppe "Patrono del Concilio Vaticano II" (cfr. la Lett. Apost.
"Le voci che da tutti") e ha voluto che l'altare dedicato al Santo
nella Basilica di S. Pietro fosse rivestito di maggiore splendore, con un nuovo
mosaico, scoper-to e benedetto da lui il 19 Marzo 1963, raffigurante S.
Giuseppe "Protettore della Chiesa, Protettore del Concilio Vaticano
II".
Giusto
20 anni fa (15 Agosto 1989) Giovanni Paolo II ci ha dato l'Esortazione
Apostolica "Il Custode del Redentore" sulla figura e la missione
sempre attuale di S. Giuseppe nella Chiesa per il mondo. Nell'ultima parte di
questo Documento il Papa Giovanni Paolo Il presenta S. Giuseppe come Patrono
della Chiesa del nostro tempo (nn. 28-32) e dice espressamente che "an-che
oggi abbiamo perduranti motivi per raccomandare a San Giuseppe ogni uomo" e
noi stessi (n. 31).
La
Chiesa siamo tutti noi cristiani, popolo di Dio, figli del Padre, in Gesù
Cristo, animati dallo Spirito Santo, come ci dice tutto il NT, particolarmente
nelle lettere di S. Paolo. Esaurienti documenti sulla Chiesa di Gesù, cioè su
tutti noi cristiani, restano la Costitu-zione Dogmatica del Concilio Vaticano
Il sulla Chiesa "Lumen Gentium" e il Catechismo della Chiesa Cat-tolica
(nn. 748-959).
E
come Chiesa noi cristiani ci troviamo nella co-munione di Dio e degli uomini.
S.
Giuseppe Patrono della Chiesa è modello e protettore di ognuno di noi.
Infatti
anche Paolo VI 40 anni fa nell'Omelia del 19 Marzo 1969 dice che il motivo
fondamentale del patrocinio di S. Giuseppe su tutta la Chiesa è che Dio,
affidando a lui la protezione della fragile infanzia e della giovinezza umana di
Gesù, fa comprendere inequivocabilmente che S. Giuseppe continua la sua
missione "a guida e difesa del Corpo mistico di Cristo medesimo, sempre
debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante".
La
lode maggiore che possiamo fare di S. Giuseppe è l'essere stato chiamato da Dio
a proteggere e gui-dare nella vita terrena la Madonna e Gesù bambino e
giovane. è la stessa missione che continua a svolgere dal Cielo per noi
cristiani.
Mentre
lo onoriamo, ci affidiamo a S. Giuseppe guida e protettore, come è stato per
Gesù e la Madon-na. Confidiamo nella sua intercessione.
Con
queste disposizioni San Giuseppe Marello osava dire: "Se S. Giuseppe non
facesse grazie, non sarebbe più S. Giuseppe" (S. p. 173).
Come
per la Madonna e ogni Santo, la grandezza particolare di S. Giuseppe viene dal
Signore, si ma-nifesta attraverso noi ed è diretta al Signore.
II
San
Giuseppe e la famiglia
Gesù si
è inserito nella nostra storia umana come qualsiasi uomo, avendo voluto essere
il più possibile simile a noi, uno dei nostri. Perciò è nato ed è cresciuto
nel contesto della famiglia: la Santa Famiglia.
Nella
famiglia del Figlio di Dio fatto uomo Giusep-pe è il vero sposo di Maria e il
padre "putativo", come i documenti della Chiesa dicono, di Gesù: una
missione e una responsabilità mai affidata ad un uomo.
Certo
e vero, perché fondato su un reale matrimo-nìo, fu il vincolo coniugale di
carità che unì Giuseppe e Maria. Altrettanto chiaramente nei Vangeli è presen-tato
il compito paterno di Giuseppe verso Gesù.
Infatti
nei Vangeli Gesù è considerato e trattato da tutti "figlio di
Giuseppe" (Lc 3,23) e "figlio di Maria" (Mc 6,3). Dopo il
ritrovamento nel tempio Maria dice a Gesù: "Figlio, perché ci hai fatto
così? Vedi, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo" (Lc 2,48).
Gesù
ha quindi avuto una famiglia e ne ha accettato le condizioni: Egli a Nazareth
"stava loro sottomesso" (Lc 2,51). Questo presumibilmente per una
trentina di anni perché il Vangelo dice testualmente: "Gesù, quando
incominciò il ministero, aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva,
di Giuseppe figlio di Eli" (Lc 3,23).
Nella
Santa Famiglia compete a Giuseppe, per di-vino mandato, di vegliare su Maria,
di custodire Gesù, di tutelare il mistero della redenzione, con tutto ciò che
sappiamo e che possiamo immaginare.
Certamente,
straordinari furono l'amore e il dono di sé che Giuseppe ebbe per Maria.
Ugualmente Giuseppe ebbe per Gesù "tutto quell'amore naturale, tutta
quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere"
(Pio XII, Radiomessaggio del 19 Febbraio 1958).
Paolo
VI nell'Allocuzione del 19 Marzo 1966 dice che il ruolo di S. Giuseppe è
consistito "nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava nella
sacra Fami-glia, per farle dono totale di sé, della sua vita, del suo lavoro;
nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana
oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell'amore posto al
servizio del Messia germinato nella sua casa".
Perciò,
dice Giovanni Paolo II, è nella Santa Fa-miglia, guidata da S. Giuseppe, che
"tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi" (RC, n. 7).
"La Fa-miglia di Nazareth nell'ordine della salvezza e della santità è
l'esempio e il modello per le famiglie umane" (RC, n. 22).
L'importanza
che il contesto familiare ha avuto per Gesù, per Maria e per Giuseppe, ci porta
a riflettere brevemente sul prezioso bene del matrimonio e della famiglia, che
specie noi cristiani dobbiamo affermare e vivere.
Sappiamo
quanto questo sia oggi necessario. Tutti, in vari modi, stiamo facendo
esperienza dell'attuale situazione delle famiglie, rese precarie da diverse
cause, che qui non è possibile trattare. è sufficiente pensare alle difficoltà
concrete della nostra persona-le famiglia. Aggiungiamo anche il moltiplicarsi
dei casi in cui sembra prevalere, già in ambito familiare, l'istinto,
l'egoismo, la passione, il capriccio, il com-portamento egoistico degli altri.
Per
questo tutta la Chiesa, non solo il Papa e i Vescovi, continua ad insistere sul
matrimonio e la famiglia come i beni più preziosi dell'umanità, che si rifanno
al progetto di Dio per noi uomini.
Facciamo
riferimento solo a due importanti Docu-menti che sono alla base del servizio
costante della Chiesa in favore del matrimonio e della famiglia.
Il
primo Documento si trova nella Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la "Gaudium et Spes". è il
primo capitolo della seconda parte (nn. 47-52), che tratta della dignità del
matrimonio e della famiglia e la sua valorizzazione, rivolgendosi a tutti, ai
coniugi, ai genitori e ai figli.
Il
secondo fondamentale Documento della Chiesa è l'Esortazione Apostolica
"Familiaris Consortio" sui compiti della famiglia cristiana, di Papa
Giovanni Paolo II, pubblicata il 22 Novembre 1981, in seguito al Sinodo dei
Vescovi sulla Famiglia (Settembre-Otto-bre 1980). In questo Documento vengono
presentati, secondo la fede e dottrina cristiana, gli aspetti portanti della
famiglia: nel disegno di Dio e nei suoi compiti (comunità di persone, servizio
alla vita, partecipazione allo sviluppo della società, partecipazione alla vita
e alla missione della Chiesa,
servizio agli uomini di oggi). Noi ci permettiamo di aggiungere che anche il
nostro San Giuseppe Marello ha lasciato significativi insegnamenti sulla
famiglia cristiana nella società, specie quando era Vescovo, soprattutto con
due Lettere Pastorali: la IV (1892) "Sull'istruzione e sull'educa-zione
domestica della gioventù"; la VI (1894) "Sul Catechismo".
Concludendo, vogliamo dire che la fede cristiana si comincia ad avere e a vivere in famiglia, con il vero amore tra i coniugi, spesso vissuto con sacrificio ma proprio così si dimostra amore, con l'esempio di vita che i genitori sanno dare ai figli, con l'accompagna-mento degli adulti ai giovani in ogni fase della loro crescita.
Insieme
alla sincera e decisa volontà di fare la nostra parte, invochiamo la protezione
della Santa Famiglia sulle nostre famiglie, sulle famiglie cristiane e su tutte
le famiglie. Guardiamo all'esempio di vita e di amore tra Gesù, Maria e
Giuseppe. Riceviamo da loro forza e conforto nel mettere noi stessi e le nostre
famiglie sulla linea della volontà di Dio.
In
questo senso San Giuseppe Marello, pochi giorni prima della festa di S. Giuseppe
1869, faceva una bella invocazione a S. Giuseppe e concludeva: "Tu, o
Giuseppe, ammaestraci, assistici e rendici degni membri della Santa
Famiglia" (Lett. 35).
III
San
Giuseppe e il lavoro
Pensando
alla Santa Famiglia e al rapporto tra Gesù, Maria e Giuseppe, ci immaginiamo
l'amore che c'era tra loro, pur tra le difficoltà e i problemi che an-ch'essi
hanno dovuto affrontare. E possiamo dire che il lavoro è stato l'espressione
quotidiana dell'amore nella vita della Famiglia di Nazareth.
Il
Vangelo precisa il tipo di lavoro con cui Giusep-pe ha cercato di assicurare il
mantenimento alla sua Famiglia: egli era "carpentiere". "Non è
egli forse il figlio del carpentiere?" (Mt 13,55) dicono di Gesù i
compaesani di Nazareth.
In
realtà, durante gli anni di Nazareth e nella sua fa-miglia, Gesù ragazzo e
giovane imparò e svolse il lavoro di "carpentiere" col suo padre
putativo. Infatti molti anni dopo, quando Gesù ormai adulto tornò a Nazareth
con i discepoli, "molti, ascoltandolo, rimanevano stupiti e dicevano: «Non
è costui il carpentiere?»" (Mc 6,2-3).
Perciò
Giovanni Paolo II, considerando che Gesù a Nazareth "stava sottomesso ai
suoi genitori" (Lc 2,51), afferma che "questa sottomissione", cioè
l'ob-bedienza di Gesù nella casa di Nazareth, viene intesa come partecipazione
al lavoro di Giuseppe" (RC, n. 22). Infatti presso gli Ebrei tra i doveri
di un padre verso i figli era elencato anche quello di istruirli nella Torà e
in un mestiere.
Inoltre
Gesù, ricevendo dal padre Giuseppe e con-dividendo con lui un mestiere, ha
ricevuto anche tutta una situazione concreta collegata al lavoro, cioè, come
dice Paolo VI, "lo stato civile, la categoria sociale, la condizione
economica, l'esperienza professionale, l'ambiente familiare, l'educazione
umana" (Allocu-zione del 19 Marzo 1964).
Certo,
per Giuseppe e Gesù, e per naturale associa-zione anche per Maria, il lavoro
di "carpentiere" è sta-to un mezzo di mantenimento economico e
sociale. Ma non solo questo. Giovanni Paolo II afferma che nella Famiglia di
Nazareth, dove Gesù è educato da Giuseppe alla la-boriosità, il lavoro non
è considerato semplicemente mezzo di guadagno o fonte di ricchezza, o
espressione di stato sociale e culturale, ma è "espressione quoti-diana
di amore" e crescita umana, rendendo l'uomo "in un certo senso più
uomo" (Enciclica "Laborem exercens, n. 9).
C'è
di più.
Con
Gesù, allevato da Giuseppe, il lavoro entra a far parte del mistero della
incarnazione e della reden-zione: diventa opera di bene e di salvezza per sé e
per gli altri. Questa è la dignità cristiana del lavoro.
Pio
XII in una sua Enciclica (la "Fulgens radiator" del 21 Marzo 1947)
dice che "Gesù non ha disdegnato di lavorare nella bottega di suo padre, e
ha voluto con-sacrare il lavoro umano con il suo sudore divino".
Lo
stesso Papa il 1° Maggio 1955, in occasione del decimo anniversario delle ACLI,
ripropose S. Giuseppe come patrono e modello
dei lavoratori e istituì al 1° Maggio la festa di "S. Giuseppe Operaio o
Lavoratore".
Non
si può non collegare il pensiero di S. Giuseppe e di Gesù
"lavoratori" con il nostro lavoro e con tutti i problemi connessi al
lavoro e alla mancanza di lavoro, oggi così attuali e possiamo dire tragici per
milioni di persone da noi e in tutto il mondo.
Giustamente
anche Benedetto XVI, in questa disastrosa crisi economica mondiale, fa notare
che stiamo raccogliendo i frutti dolorosi di un processo economico e lavorativo
egoistico e senza moralità. E esorta a curare il male eliminandone le cause.
La
dottrina sociale della Chiesa da sempre ha messo in guardia contro i pericoli
degli squilibri e dei mali economici, proponendo insieme i validi principi della
vita economico-sociale.
Citiamo
solo due Documenti.
La
Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II "Gaudium et Spes"
sulla Chiesa nel mondo contem-poraneo, col capitolo "L'attività umana
nell'universo" (nn. 33-39) e particolarmente col capitolo "La vita
economico-sociale" (nn. 63-72), che tratta de "Lo sviluppo economico
al servizio dell'uomo" (nn. 64-66) e di "Alcuni principi relativi
all'insieme della vita economico-sociale" (nn. 67-72).
L'altro
Documento, proprio sul lavoro umano, è l'Enciclica di Giovanni Paolo II
"Laborem exercens" (14 Settembre 1981). Il Papa presenta il problema
del lavoro; parla del rapporto tra il lavoro e l'uomo; affronta la questione del
conflitto tra il lavoro e il ca-
pitale;
afferma i diritti degli uomini al lavoro; dichiara la necessità di una
spiritualità del lavoro, specie per i cristiani.
Già
con questa Enciclica, che è del 1981, si mette in evidenza "il lavoro e il
problema dell'emigrazione" (n. 23) con tutte le conseguenze negative e
positive: problema tanto discusso e dibattuto oggi.
Giovanni
Paolo II giunge a dire che il Vangelo è anche il "Vangelo del
lavoro", "perché colui che lo proclamava, era egli stesso uomo del
lavoro, del lavo-ro artigiano come Giuseppe di Nazareth" (n. 26).
Guardando
a S. Giuseppe lavoratore e attraverso lui a Gesù stesso lavoratore, per noi
cristiani, anche quando sembra che non lavoriamo, il nostro lavoro di ogni
giorno, oltre che mezzo di guadagno economico, viene compreso come una
"espressione quotidiana d'amore", una crescita umana, un'opera di bene
per noi e per gli altri. Questa può sembrare una conce-zione troppo alta,
forse impossibile, del lavoro; ma è quella cristiana.
Siamo
certi che il Signore, per l'intercessione di S. Giuseppe, ci aiuta anche in
questo.
In
tal senso si spiegano le parole che, nei primi giorni del Gennaio 1869, San
Giuseppe Marello scriveva: "Lavoriamo, lavoriamo tutti nel modo e con
quella intensità che Iddio vuole. Sa ben Egli coordina-re le nostre fatiche ai
suoi disegni" (Lett. n. 22).
IV
San
Giuseppe e la giustizia
Nel
Vangelo di S. Matteo, dove S. Giuseppe viene presentato in modo maggiormente
diretto, tre sono i titoli che vengono dati a Giuseppe: "sposo di
Maria" (1,16.18.20); "giusto (1,19); "carpentiere" (13,55).
Ci
fermiamo ora a considerare il titolo "giusto", che rivela dall'interno
la personalità e la spiritualità di S. Giuseppe.
Perché
S. Giuseppe è detto "giusto"? Che significa l'essere
"giusto" o la giustizia di S. Giuseppe? Occorre rifarsi al significato
biblico dei termini. Il primo significato di "giustizia" ci viene
dagli antichi ed ha un aspetto sociale. Corrisponde al detto "dare a
ciascuno il suo" (unicuique suum tribuere). Questo vale anche per il popolo
ebraico. Si tratta di una giustizia retributiva.
In
questo senso la religiosità antica ed ebraica applica la "giustizia"
prima di tutto e soprattutto a Dio: assoluta-mente Lui ha il diritto di avere
ciò che Gli è dovuto.
Tuttavia
il significato sociale di giustizia non esclu-de, anzi di per sé richiede,
altri due significati: quello etico o morale (essere onesti) e quello religioso
o credente (dare veramente e totalmente a Dio il suo).
è
da notare che in tutti i significati della "giustizia" per i credenti
il primo riferimento è sempre a Dio. è Lui l'origine, la causa e il vindice di
ogni giustizia.
Ciò
è evidente nell'AT, specie nei libri profetici e sapienziali. è confermato nel
NT. Mc 12,29-31 (cfr. Dt 6,4 e Lv 19,18): "II primo (comandamento) è:
Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il
Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la
tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è
altro coman-damento più importante di questi".
Mt
25,31-40: il giudizio finale con le opere di misericordia.
Per
Gesù quindi la "giustizia" coincide con la presenza del Signore.
D'altronde la "giustizia" è un attributo di Dio e perciò si
identifica con Dio stesso.
C'è
da aggiungere che per gli Ebrei la "giustizia" o "essere
giusto" ha un altro significato molto più importante: riferito a un essere
umano è l'equivalente di "santità" o di "essere santo".
Il
motivo è che nella religione ebraica la giustizia appartiene a Dio e deve
appartenere agli uomini; la santità invece è un attributo solo di Dio,
appartiene solo a Lui e alla sua natura. Riguardo agli uomini, la santità
indica soltanto una relazione con Dio (cfr. Lv 11,44; 19,2; 21,8; Es 3,5; 19,6;
28,33), il totalmente separato e diverso. Nessuno può essere veramente
partecipe della santità di Dio.
Invece
noi cristiani sulla santità abbiamo una con-cezione del tutto diversa. Noi già
col battesimo siamo "santi"
e partecipiamo realmente, anche se nella con-dizione umana, alla santità di
Dio, perché attraverso Gesù abbiamo lo Spirito di Dio. è sufficiente rifarsi
alle lettere di S. Paolo.
Perciò
nel titolo di "giusto" che il vangelo di S. Matteo (1,19) dà a
Giuseppe, noi prendiamo il signi-ficato sociale, morale, religioso, e
particolarmente il significato che corrisponderebbe al nostro "santo".
Cioè, S. Giuseppe è stato un completo e fedele osser-vante della volontà di
Dio, non solo quella manifestata dalla Legge (la "Torà"), ma prima di
tutto quella sen-tita nella sua coscienza. Si spiegano così le parole del
Vangelo di S. Matteo: "Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva
ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (1,19).
Applichiamo
a noi l'esempio della "giustizia" di S. Giuseppe, la giustizia nei
suoi significati: sociale o retributiva, etica o morale, religiosa o credente.
Ma
noi siamo cristiani e anche in questo ci rifac-ciamo prima di tutto a Gesù e
al suo Vangelo. Ricordiamo le 8 Beatitudini e, non a caso, addirit-tura due, la
quarta e l'ottava, riguardano la giustizia: "Beati quelli che hanno fame e
sete della giustizia, perché saranno saziati" (Mt 5,6); "Beati i
perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei
cieli" (Mt 5,10).
Anzi,
Gesù supera il concetto della giustizia antica, sia pagana che ebraica,
("occhio per occhio e dente per dente"): un concetto che dà adito ad
altre ingiustizie, come l'esperienza conferma. Gesù conduce la giustizia alla
carità (= amore) e al perdono (cfr. Mt 5,20.38-39).
Proprio
a riguardo del rapporto necessario tra giustizia e carità abbiamo una
meditazione di San Giuseppe Marello giovane sacerdote (cfr. Ins., p. 301), in
cui egli afferma: "... non (ci) deve essere soltanto giustizia, ma carità...".
è
il concetto di "giustificazione" in S. Paolo, cioè una giustizia
vissuta concretamente nel rapporto tra il Dio rivelato da Gesù e l'uomo aiutato
dalla sua grazia, e di conseguenza un rapporto "giusto" tra gli
uomini, che porta a considerare gli altri "superiori a sé stessi".
"Giustificazione" che si verifica per mezzo
-
del patto (alleanza, accordo, fedeltà, vicendevo-le),
-
della conversione (penitenza o riparazione dell'in-fedeltà commessa),
-
delle opere di giustizia: non per mezzo della legge, ma "per mezzo della
fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono" (Rom 3,21-26).
Così
la "giustizia" vissuta da S. Giuseppe ci porta alla considerazione e
alla pratica della "giustizia" cristiana, espressione di amore, sempre
oblativo, e di perdono, molto spesso eroico.
V
San
Giuseppe e
la fede
Molte
e diverse sono le considerazioni che si pos- sono fare sulla fede, prima virtù
teologale, dono di Dio necessario alla salvezza. Mc 16,16: "Chi crederà e
sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato".
Noi
ora consideriamo la fede in rapporto a S. Giuseppe.
Stando
a ciò che i Vangeli dicono di lui nella nascita, infanzia e adolescenza di Gesù,
certamente S. Giuseppe fu un uomo di fede. Non ci sono dubbi al riguardo.
Vogliamo
invece sottolineare come S. Giuseppe visse e dimostrò la sua fede.
Giovanni
Paolo II nella Esortazione Apostolica su S. Giuseppe mette in evidenza che
"ciò che Giuseppe fece è purissima obbedienza della fede (cfr. Rom 1,5;
16,26; 2 Cor 10,5-6)" (RC, n. 4).
E
il Papa cita una frase della "Dei Verbum", la Costituzione dogmatica
sulla divina Rivelazione del Concilio Vaticano II, frase che tocca l'essenza
della fede: "A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede, per la
quale l'uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio, prestandogli il pieno
ossequio dell'intelletto e della volontà e assentendo volontaria-mente alla
rivelazione da lui fatta" (DV, n. 5).
"Queste
parole si applicano perfettamente a Giuseppe di Nazareth" aggiunge Giovanni
Paolo II (RC, n. 4). La prima grande obbedienza di fede da parte di S. Giuseppe
fu l'accettazione della Madonna come sposa: "Destatosi dal sonno, Giuseppe
fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa" (Mt 1,24). Poi a questa obbedienza, fonda-mentale nella vita di
Giuseppe, seguirono tutte le altre obbedienze, come i racconti evangelici
dell'infanzia e dell'adolescenza di Gesù ci dicono.
E
non ci può venire il dubbio che l'obbedienza di Giuseppe sia stata un atto
forzato e senza amore. Anzi, in essa lui donò volontariamente tutto se stesso a
Dio attraverso il legame con Maria sua "sposa" e con Gesù suo
"figlio". Senza l'amore, motivato e illuminato dalla fede obbediente,
non ci si può rendere ragione del sacrificio totale che Giuseppe fece della sua
esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa. D'altronde,
l'amore "filiale" di Gesù non poteva non influire sui suoi
"genitori", che la volontà divina aveva collocato nella sua più
stretta intimità: Maria sua Madre e il padre putativo Giuseppe.
è
da notare che questa sottomissione a Dio, che è prontezza di volontà nel
dedicarsi al suo servizio, si accompagna al clima di silenzio che avvolge tutto
quanto si riferisce alla persona di Giuseppe. I Vange-li ci dicono solo ciò
che egli "fece". Ci consentono tuttavia di scoprire nelle sue
"azioni", avvolte dal silenzio, il profilo interiore di Giuseppe:
appunto un profilo di fede e di amore.
La
vita di Giuseppe fu un quotidiano contatto col "mistero nascosto da
secoli", che "prese dimora" sotto il tetto di casa sua.
Paolo
VI spiega che dalla vita interiore di Giusep-pe, manifestata dalla sua fede e
obbedienza, "vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a
lui la logica e la forza, proprie delle anime semplici e limpide, delle grandi
decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la
sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità co-niugale,
accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso"
(Allocuzione del 19 Marzo 1969).
S.
Giuseppe, dunque, esempio e modello di fede obbediente, cosciente e operosa.
Così
lui ha realizzato la missione affidatagli da Dio. Per questo la presenza di
Giuseppe nella vita di Gesù e Maria non è decorativa, così da poter essere
omessa. Invece anche quella di Giuseppe è stata una funzione che ha realizzato
il mistero della salvezza degli uomini e del mondo.
Alla
scuola di S. Giuseppe ogni credente impara che l'obbedienza alla Volontà di
Dio, comunque essa si esprima, è la manifestazione e l'esercizio della fede.
Fede
e obbedienza si richiamano a vicenda e si rispecchiano una nell'altra, secondo
il pensiero di S. Giacomo: "Se la fede non ha le opere, è morta in sé
stessa" (2,17).
Da
parte di Dio c'è la vocazione o chiamata, da parte dell'uomo la vocazione si
traduce in obbedienza, una obbedienza animata dall'amore per Dio e per gli altri
alla luce di Dio. Una tale sottomissione a Dio è prontezza di volontà nel
dedicarsi alle "cose che riguardano il suo servizio" e agli
"interessi di Gesù", come ripete il nostro San Giuseppe Marello.
Ma
non ci può essere questo se non si è presenti a sé stessi, se non si cura un
silenzio personale e una vita interiore propria. Ciò oggi rischia di essere im-possibile
anche a un cristiano che, in vario modo, si dedica all'apostolato.
Non
basta fare; per fare bisogna essere e saper fare.
Così,
come per S. Giuseppe, la fede penetra anche la vita cosiddetta profana di un
credente (cfr. parti-colarmente la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano
II "Gaudium et Spes" sulla Chiesa nel mondo contemporaneo).
VI
San
Giuseppe e Gesù
Nella
storia evangelica la posizione di S. Giuseppe, insieme a quella della Madonna,
è la più vicina a Gesù. Non può quindi mancare nel Vangelo il racconto della
vocazione di Giuseppe.
Lo
troviamo infatti in S. Matteo (1,18-25), già all'ini-zio del primo capitolo
subito dopo la presentazione so-lenne della genealogia di Gesù (1,1-16), in
cui Giuseppe è presente e se ne giustifica la presenza in quanto voluta
direttamente da Dio. Giuseppe è "lo sposo di Maria, dalla quale è nato
Gesù, chiamato Cristo" (1,16).
Da
queste parole del Vangelo sembra che la voca-zione di Giuseppe sia stata solo
quella di essere "lo sposo di Maria". Ma il racconto evangelico
prosegue con "l'annunciazione a Giuseppe" della nascita di Gesù (Mt
1,18-25), dove emerge chiaramente che, attraverso il ministero di un angelo, Dio
ha chiamato Giuseppe a far da padre a Gesù: "Essa partorirà un figlio e
tu lo chiamerai Gesù" (Mt 1,21).
Dopo
quella di Maria e umanamente congiunta ad essa, la vocazione di Giuseppe è la
vocazione più grande che si possa immaginare. Si tratta dell'incarico più
importante mai affidato ad un uomo: Dio affida a Giuseppe il suo tesoro più
grande, "il Figlio mio, l'amato" (Mt 17,25). E lo affida come ad un
padre, che Lui stesso ha scelto.
Perciò
la paternità di S. Giuseppe è evidente e incon-testabile, pur essendo una
paternità non derivante dalla generazione e in assenza della concupiscenza
della car-ne. Anche la Madre di Gesù dice al Figlio dodicenne nel tempio:
"Tuo padre ed io... ti cercavamo" (Lc 2,48).
Su
queste parole già S. Agostino dice: "Ella non volle preporre il proprio
nome a quello di suo marito... Perché? Perché padre. E perché padre? Perché
tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre" (Sermo
51,20,30: PL 38,350-1).
Inoltre
quella di S. Giuseppe fu una paternità autenticamente umana. Certo, costituisce
un mistero perché è inserita nel mistero della incarnazione. Ma la paternità
di S. Giuseppe non è "apparente" o soltanto "sostitutiva".
Essa possiede in pieno l'autenticità della paternità umana e della missione
paterna nella fami-glia. In questo contesto, lo ripetiamo, acquistano il giusto
significato le parole di Maria a Gesù nel tempio: "Tuo padre ed io... ti
cercavamo" (Lc 2,48).
Giovanni
Paolo II afferma che Giuseppe accettò la paternità umana nei riguardi di Gesù
e certamente scoprì il dono di questa sua paternità (cfr. RC, n.21).
è
evidente quindi che il rapporto di S. Giuseppe con Gesù e di Gesù con lui è
stato inferiore solo a quello tra la Madonna e Gesù.
Così
la paternità di S. Giuseppe si è espressa con-cretamente, dice Paolo VI,
"nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero
dell'incarna-zione... per... totale dono di sé, della sua vita, del suo
lavoro..." (Allocuzione del 19 Marzo 1966).
Inoltre
il ministero della paternità di S. Giuseppe è veramente un ministero di
salvezza. "Servendo di-rettamente la persona e la missione di Gesù
mediante l'esercizio della sua paternità, Giuseppe ha cooperato, nella pienezza
dei tempi, al grande mistero della re-denzione" (RC, n. 8).
Il
rapporto unico di S. Giuseppe con Gesù ci porta all'applicazione personale.
Anche noi abbiamo, dob-biamo avere, sempre maggiormente stretto il rapporto con
Gesù, secondo la nostra vocazione e il nostro stato di vita.
Più
concretamente, sull'esempio di S. Giuseppe "il Custode del Redentore",
la nostra unione con Gesù consiste anche nel "custodire" tutto ciò
che riguarda Lui. E col termine "custodire" vogliamo intendere non
solo "conservare", che pure sarebbe già tanto, ma nello stesso tempo
"sviluppare", come ha fatto ed è vissuto S. Giuseppe.
"Conservare",
perché la fede in Gesù e la vita con Lui è continuamente insidiata dalla
nostra condizione e debolezza umana.
"Sviluppare",
perché, come ripeteva Giovanni Paolo II, con Gesù siamo chiamati e aiutati a
"volare alto", oltre tutto ciò che è umano. Ciò significa essere e
sentirsi chiamati alla santità (cfr. particolarmente il capitolo V della
"Lumen Gentium", la Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II
sulla Chiesa: la "universale vocazione alla santità"). La santità
infatti ci fa scoprire, realizzare e sviluppare il meglio di noi stessi, pur
dovendo far fronte a tanti pericoli, ostacoli e difficoltà, dentro e fuori di
noi.
è
ciò che San Giuseppe Marello intende col pro-gramma di "curare gli
interessi di Gesù".
Siamo
convinti che, come è stato per S. Giuseppe e come lo dimostra la vita dei veri
cristiani, anche per noi il rapporto con Gesù realizza pienamente il nostro
essere, la nostra vocazione o stato di vita, il nostro fine di uomini e di figli
di Dio.
VII
San
Giuseppe e la Madonna
è
stato giustamente affermato che il rapporto di S. Giuseppe con Gesù è la sua
vocazione: quella di essere "il Custode del Redentore", custode non
come semplice guardiano, ma come padre.
Tuttavia
prima ancora di diventare "padre" di Gesù, S. Giuseppe è stato
"sposo di Maria" (Mt 1, 16). Infatti, secondo il Vangelo, il rapporto
di S. Giuseppe con la Madonna è essenzialmente il matrimonio, voluto da Dio (Mt
1,20). Gli evangelisti Matteo e Luca, come affermano chiaramente che Gesù è
stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata
conservata la verginità di Maria (cfr. Mt 1,18-25; Lc 1,26-38), altrettanto
chiaramente essi chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe
(cfr. Mt 1, 16.18-20; Lc 1,27; 2,5).
Possiamo
considerare nel rapporto coniugale di Giuseppe con Maria quattro aspetti:
storico, giuridico, teologico e umano.
Non
sappiamo quando e come Giuseppe e Maria si sono incontrati la prima volta, come
è nato il loro amore, quando si sono sposati. Ma il loro matrimonio è storico,
perché, oltre ad essere realmente avvenuto, ha assicurato a Gesù la
discendenza davidica, indispensabile perché Gesù fosse il Messia. Questo signi-ficano
le genealogie evangeliche di Gesù (Mt 1,1-16; Lc 3,23-38). Nella storia sacra o
della salvezza Gesù doveva essere figlio di Davide.
Inoltre
dalle stesse genealogie di Gesù, che vengo-no a lui tramite Giuseppe, si
deduce che il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità
di Giuseppe.
è
per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo
di Maria. Il figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del vincolo
matrimoniale che li unisce.
L'aspetto
teologico del matrimonio di S. Giuseppe con la Madonna consiste, oltre che nel
riferimento al disegno e alla volontà di Dio, di cui abbiamo già detto, anche
nel fatto che l'umanità di Gesù si è realizzata nella prima e fondamentale
istituzione umana, la famiglia basata sul matrimonio. In tal modo Gesù ha
purificato e santificato il matrimonio, prima vivendo in famiglia con i suoi
genitori, poi predicandolo (Mt 19,3-12; 5,27) e affidandolo ai discepoli come
"sacramento" (cfr. specialmente le lettere di S. Paolo).
Ma
il matrimonio di S. Giuseppe con la Madonna è veramente umano. Lo diciamo
unico.
Certamente
Giuseppe ha fatto dono totale di sé a Maria, oltre che a Gesù: dono unito al
sacrificio, e proprio per questo ancora più reale e grande. Ci riferiamo al
grande sacrificio vissuto da Giuseppe come
uomo e dichiarato espressamente nel Vangelo: "(Giuseppe) prese con sé la
sua sposa... senza che egli la conoscesse" (Mt 1,24).
D'altronde,
sappiamo che l'essenza o natura del matrimonio di per sé non consiste
nell'unione sessua-le, ma nell'unione coniugale, che nasce dal consenso e
dall'indivisibile unione degli animi e dei cuori. Questo sicuramente e veramente
c'è stato tra Giuseppe e la sua sposa Maria.
Di
conseguenza, nel rapporto matrimoniale degli Sposi di Nazareth non mancò
nessuno dei requisiti che per noi costituiscono un matrimonio. Al riguardo S.
Agostino conclude: "In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i
beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che
è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c'è nessun adul-terio; il
sacramento, perché non c'è nessun divorzio" (De nuptiis et
concupiscentia,1,11,13: PL 44,421; cfr. Contra Julianum, V,12,46: PL 44,8 10).
Per
questo aggiungiamo che negli ultimi decenni da alcune parti è stata fatta una
proposta, specie in favore degli sposi: quella di inserire nelle Litanie della
Madonna almeno una invocazione rivolta a Lei come "sposa di Giuseppe".
Al
rapporto unico di S. Giuseppe con la Madonna colleghiamo la riflessione sul
nostro rapporto con Lei. Con motivazioni e manifestazioni differenti anche noi
siamo uniti a Maria SS.ma, Madre di Gesù e Madre nostra.
è
celebre l'affermazione di Paolo VI: "Siamo ma-riani perché siamo
cristiani; siamo cristiani in quanto siamo mariani".
Pensiamo,
per esempio, alla speciale devozione per la Madonna da parte di San Giuseppe
Marello, speciale devoto di S. Giuseppe: "fin da fanciullo" come dice
lui stesso (Scr. e Ins., p. 299), per tutta la vita, sino alla fine con l'ultima
Messa celebrata nel Santuario della Madonna della Misericordia in Savona (27
Maggio 1895), sull'altare dove per la prima volta aveva sentito la chiamata del
Signore da bambino, quando vi era andato in pellegrinaggio col papà.
Non
si può non ricordare che il rapporto di ogni cristiano con la Madonna viene
posto a fondamento della natura e della vita della Chiesa nella Costituzione
dogmatica "Lumen Gentium" del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, al
Capitolo VIII (La Beata Vergine Maria Madre di Dio nel mistero di Cristo e della
Chiesa, nn. 52-69).
Concretamente
si tratta di un rapporto filiale, fatto di venerazione, di imitazione e di
affidamento: un rapporto che richiede di essere sempre meglio vissuto e rivisto,
con l'approfondimento, con la correzione se ne è il caso, e sempre con un
continuo sviluppo.
Perciò,
riferendoci ancora a S. Giuseppe, non ci può essere vera devozione a S.
Giuseppe senza la devozione alla Madonna, e viceversa.
VIII
San
Giuseppe e la fedeltà
Considerando
i titoli di "giusto" e di "carpentiere" che il Vangelo (Mt
1,19 e 13,55) dà a S. Giuseppe, ab-biamo accennato alla fedeltà di
quest'uomo. In realtà, tutta la sua vita, sempre stando ai testi evangelici, lo
dimostra. E a ragione nella Litania di S. Giuseppe noi lo invochiamo come
"fedelissimo".
Cosa
s'intende per "fedeltà"?
Diciamo
subito che, etimologicamente, la parola è collegata a "fede" e
immediatamente si riferisce ad una "fede" vissuta, realizzata
concretamente con le opere. Ricordiamo ciò che dice S. Giacomo: "Che
giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che
quella fede può salvarlo? La fede, se non ha le opere, è morta in se stessa.
Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia
fede!" (Ge 2,14.17.18b).
Consideriamo
brevemente la "fedeltà" secondo la Bibbia (A e N T).
Con
parole semplici possiamo dire che la "fedeltà" biblica è
l'osservanza dell'alleanza di salvezza, cioè di quel particolare rapporto di
reciprocità, stabilita tra Dio e il suo popolo o anche la persona singola.
Nell'AT
Dio è "fedele" perché realizza infalli-bilmente le sue promesse,
per di più con bontà e misericordia,
e venendo in aiuto del popolo o della singola persona. Il popolo o la singola
persona è "fedele" quando aderisce a Dio, obbedendogli e in-staurando
anche con gli altri rapporti di benevolenza e di sincerità.
Dunque
la "fedeltà" da parte di Dio non è la semplice realizzazione della
sua volontà o delle sue promesse, come da parte del popolo o della singola
persona non è la pura osservanza dei comandamenti o della legge di Dio.
Nel
NT Gesù è l'incarnazione della "fedeltà" di Dio, il sì del Padre a
tutte le promesse, il Mediatore misericordioso e fedele della nuova e definitiva
al-leanza. Questo è Gesù, nella sua rivelazione perfetta del Padre e nel suo
comportamento.
Perciò
anche i discepoli di Gesù, il nuovo popolo di Dio, sono chiamati alla
"fedeltà". 1 cristiani, aiutati dalla grazia dello Spirito Santo
effuso da Gesù, sono in grado di rispondere con la vita al Padre, aderen-do
fino in fondo al Vangelo e vivendolo nell'amore fraterno.
Alla
luce di queste considerazioni, possiamo com-prendere la "fedeltà" di
S. Giuseppe.
Si
è già detto che la vocazione di Giuseppe di Nazareth, datagli da Dio, è stata
quella di essere "il Custode del Redentore" come "padre" e
lo "sposo" di Maria. Sappiamo anche che, quando Dio chiama, rende la
persona adatta alla sua vocazione.
Dio,
chiamando Giuseppe per Gesù e Maria, cer-tamente lo ha reso adatto a questo.
Giuseppe, da parte sua, è stato fedele, ha realizzato la sua straordinaria
vocazione e missione. Nel Vangelo risulta che egli non parlò, ma
"fece", rispondendo incondizionatamente alle richieste di Dio.
La
"fedeltà" di Giuseppe si riscontra in tutti i mo-menti evangelici
della sua vita con Maria e Gesù:
-
il matrimonio con Maria (Mt 1,16.18-25; Lc 1,27; 2,5);
-
la paternità per Gesù (Mt 1,21; 13,55; Lc 2,48);
-
il censimento di Augusto (Lc 2,1-5);
-
la nascita di Gesù (Mt 1,21.25; Lc 2,6-7.16);
-
la circoncisione di Gesù (Lc 2,21);
-
la presentazione di Gesù al tempio (Lc 2,22-38);
-
la fuga in Egitto (Mt 2,13-15);
-
il ritorno dall'Egitto (Mt 2,19-21);
-
la dimora a Nazareth (Mt 2,22-23; Lc 2,39-40);
-
lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù dodicenne (Lc 2,41-50).
In
tutti questi fatti evangelici Giuseppe rimane sempre fedele: obbedisce e agisce.
Ma certamente lo fa per e con amore.
La
sua non era una fedeltà in qualche modo co-stretta. Era proposta e
incoraggiata da Dio, secondo le parole iniziali rivoltegli dall'angelo:
"Giuseppe, figlio di Davide, non temere!..." (Mt 1,20).
La
fedeltà di Giuseppe è manifestazione del suo amore: un amore sponsale per
Maria e paterno per Gesù. Gesù e Maria a loro volta ricambiano tale amore e
contribuiscono ad accrescerlo sempre di più. Tutto il Vangelo ce lo fa
supporre.
Possiamo
anche presumere, dato che il Vangelo non lo dice espressamente, che la fedeltà
di Giuseppe si è manifestata in un rapporto di benevolenza verso gli altri al
di fuori della sua Famiglia. Il Vangelo però lo dice implicitamente quando ci
presenta Giuseppe come conosciuto dai compaesani di Nazareth (cfr. Mt 13,55).
S.
Giuseppe dunque è stato fedele secondo quella "fedeltà" che poi Gesù
avrebbe mostrato e insegnato: una fedeltà che non mira solo all'osservanza
della legge, per quanto essa possa essere divina, ma che è risposta libera e
incondizionata a Dio, che vuole il bene dei suoi figli, nello spirito del
Vangelo e con l'amore per gli altri.
Brevemente
aggiungiamo che un'altra caratte-ristica della "fedeltà" di S.
Giuseppe è quella della semplicità.
Al
riguardo Paolo VI annota: "San Giuseppe è il modello degli umili, che il
cristianesimo solleva a grandi destini; San Giuseppe è la prova che per esse-re
buoni e autentici seguaci di Cristo non occorrono "grandi cose", ma
bastano ed occorrono virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche"
(Allocuzione del 19 Marzo 1969).
Per
questa semplice e costante fedeltà San Giusep-pe Marello vede in S. Giuseppe
un "sublime modello" e giunge a dedurre: "San Giuseppe praticava
le virtù umili e nascoste, mostrandosi sempre calmo, sempre sereno e
tranquillo, osservando in tutto una perfetta conformità ai voleri di Dio"
(Scr. e Ins., p. 228).
S.
Giuseppe quindi ci insegna la "fedeltà" evange-lica, dandocene anche
l'aiuto: rispondere agli appelli di Dio nella nostra vita quotidiana, sostenuti
da Lui, per amore suo e degli altri.
IX
San
Giuseppe e la santità
La
parola "santità" vuol dire, etimologicamente, "separazione"
ed è un attributo essenziale di Dio, il Santo, il "separato" da tutto
e da tutti, il "tutt'altro", l'infinitamente superiore ad ogni
creatura, perché Lui solo è il perfetto.
Tuttavia
Dio non fa della sua santità una barriera tra sé e l'uomo. Tutta la storia
della salvezza, passata, presente e futura, è manifestazione e comunicazione
della santità di Dio. Nell'AT Dio ha comunicato la sua santità con le varie
manifestazioni della sua presenza, con la sua Legge, col culto esclusivo per Lui
vero e unico Dio. Inoltre Dio ha voluto che il suo popolo partecipasse alla sua
santità con l'eliminazione di ogni specie di "infedeltà".
Nel
NT Gesù, figlio di Dio, sede dello Spirito di Dio, lo Spirito Santo, e
consostanziale a Lui, è ed è chiamato il "Santo di Dio" (Mc 1,24; Gv
6,69; At 3,13-14; 4,27.30; 1 Pt 1,18-19). La sua opera redentiva è designata
come "santificazione" (cfr.
particolarmente Ebr 2; 10).
Dopo
la Risurrezione Gesù manda il suo Spirito a tutta la sua comunità (Gv 20,22;
At 2,4), la Chiesa, che per sempre avrà e sarà animata da questo Spirito,
fonte di ogni santità (cfr. At e le lettere apostoliche, specie quelle
paoline).
Perciò
i fedeli di Cristo sono chiamati santi in quanto sono messi a parte per il
servizio di Dio Pa-dre; sono consacrati al Signore mediante il battesimo con
l'opera redentrice di Cristo; sono "tempio dello Spirito" e mossi da
Lui a vivere nella giustizia e nella santità della vita.
Dal
Vangelo sappiamo che la Madonna è santa per lo Spirito di Dio ricevuto già
all'inizio. "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc
1,28) le dice l'angelo, che dopo, rispondendole, aggiunge: "Lo Spi-rito
Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza
dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dun-que santo e chiamato figlio di
Dio" (Lc 1,35).
E
S. Giuseppe in che senso è santo? Espressamente il Vangelo non ci dice niente
al riguardo. Ma possiamo chiaramente e sicuramente dedurlo.
Se
Elisabetta al saluto di Maria "fu piena di Spirito Santo" (Lc 1,41),
tanto più lo è stato Giuseppe, scelto e posto ad essere unito intimamente a
Maria come sposo e a Gesù come "padre". A questa prospettiva, cioè
al ruolo avuto da Giuseppe nel piano di Dio, è legata la sua grandezza
spirituale o santità.
Giovanni
Paolo II spiega che la santità di S. Giuseppe è motivata dal fatto che con la
Madonna è "singolare depositario del mistero di Dio" e "insieme
a Maria - ed anche in relazione a Maria - egli par-tecipa a questa fase
culminante dell'autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo
inizio" (RC, n. 5).
C'è
inoltre la vita straordinariamente santa di Giuseppe, con uno speciale profilo
interiore, fatto di silenzio e di contemplazione, in comunione con Marìa e con
Gesù. è "il primato della vita interiore" (RC, cap.V, nn. 25-27),
riconosciuto in lui da grandi Santi contemplativi, come S. Teresa di Gesù.
S.
Giuseppe è santo tanto che è stato detto "il tipo del Vangelo, il tipo
cioè dell'uomo che sa accogliere incondizionatamente il regno di Dio" (RC,
cap, XV). Per questo il suo è un "insigne esempio... che supera i singoli
stati di vita e si propone all'intera Comunità cristiana, quali che siano in
essa le condizioni e i compiti di ciascun fedele" (RC, cap. XV).
Ecco
perché S. Giuseppe è Santo e un Santo quanto mai attuale.
Egli
continua a presentarsi come uomo tra gli uo-mini e uomo di Dio.
Anche
noi mediante Gesù partecipiamo alla san-tità Dio e nello stesso tempo siamo
chiamati da Lui alla santità, cioè alla piena realizzazione di noi stessi
secondo la volontà di Dio. In tal senso ricordiamo ancora la carta
programmatica dei nostri tempi, cioè il capitolo V della Costituzione Dogmatica
"Lumen Gentium" del Concìlio Vaticano Il sulla Chiesa: la
"universale vocazione alla santità".
S.
Giuseppe, reso adatto da Dio con i doni di san-tità, ha realizzato la sua
vocazione, che è stata unica e grandiosa. L'ha realizzata con una altrettanto
unica e grandiosa prontezza, con la quale egli si è messo a disposizione di
Dio, mirando non a se stesso e alle pro-prie aspirazioni, ma unicamente alla
volontà di Dio.
Inoltre
oggi noi cristiani abbiamo la vocazione e missione dell'evangelizzazione e della
salvezza degli uomini mediante noi stessi e la nostra vita. Perciò non possiamo
non guardare a lui, "sublime modello", come dice San Giuseppe Marello,
e "insigne esempio", come dice Giovanni Paolo II.
Guardiamo
al "carpentiere" di Nazareth, umile e grande, debole e forte, ignorato
e importante, per imitarne la vita e invocarne la protezione.
Facciamo
nostra la convinta e fiduciosa preghiera di San Giuseppe Marello: "Diciamo
dunque al nostro grande Patriarca: eccoci tutti per te e tu sii tutto per noi.
Tu ci segni la via, ci sorreggi in ogni passo, ci conduci dove la Divina
Provvidenza vuole che arriviamo... Con Te siamo sicuri di andare sempre
bene" (Lett. n. 208, 8 Marzo 1891).